Claudio si commuove quasi quando ricorda
che ai tavoli del suo locale si è seduto
anche Dino Viola. «Gli dissi, presidente
adesso le porto le fragole schiacciate
con limone e zucchero perché so
che le piacciono». Totti invece non si è
visto.
«Lo capisco. Non abbiamo una saletta
appartata, non starebbe tranquillo.
Se venisse, sarebbe un sogno. Io invidio
suo padre. Il padre di Totti è al livello del
padre di Einstein. Dice, che hai fatto
nella vita? Ho fatto Einstein. Ecco, lui
ha fatto Totti». Onora il padre.
Claudio sa di cosa parla, lui che continua
la tradizione della cucina romana
e del tifo romanista. «È una malattia e
ce l’ho da quando ero bambino. Sono
cresciuto con la famiglia di mia madre.
Tutti laziali. A un certo punto arriva un
signore che si sposa una delle zie. Era un
romanista sfegatato. Fu lui a portarmi
per la prima volta allo stadio». La partita
è Roma-Spal. «C’era Da Costa che si
allacciava le scarpe in campo. Fui folgorato
». Dino Da Costa,
classe 1931, brasiliano
di origine italiana.
Giocherà anche in
nazionale con gli Azzurri.
In giallorosso è
uno di quelli che ha
segnato di più. È capocannoniere
del
campionato 1956-57.
Tra i giocatori brasiliani di tutti i
tempi e di ogni squadra, è terzo. E con
Marco Delvecchio è il miglior marcatore
nei derby. I tifosi lo chiamano “Spaccareti”.
Dimentico di chiedere il risultato
di quel Roma-Spal ma non ha importanza.
«Per me la Roma era la Roma,
anche se perdeva. E ai tempi miei perdevamo
spesso. E abbiamo rischiato la
B». Succede nel 1957, quando è ancora
fresco l’incubo della serie cadetta, durato
un solo anno, stagione 1951-52. Ed è
ancora l’unico nella storia della squadra.
Perdonato, insieme alle altre delusioni.
«Come con una bella donna».
Negli anni Cinquanta in Italia si fa la
fame. I romanisti sono abituati al pane
duro. «Si vinceva poco e quando succedeva
ti afferrava il cuore. Penso alla Coppa
delle Fiere o alla Coppa Italia, con il
gol di Nicolè a Torino». La Coppa delle
Città delle Fiere diventa Coppa Uefa nel
1971. Fondata nel 1955 da uno svizzero,
un italiano e un inglese, per anni è
dominata dagli spagnoli. La Juventus
arriva per due volte in finale e per due
volte perde. Tra le italiane, solo la Roma
se la aggiudica. È il 1961. Il Paese è
ubriaco del boom economico e papà Armando
apre quella che sarà una delle
migliori osterie della città. Tre anni dopo,
Bruno Nicolè porta per la prima volta
la Coppa Italia a Roma. È il 1 novembre
1964.
Roma tricolore dopo 85 minuti di suspence.
La stagione inizia tra le polemiche
per l’arrivo dell’ex allenatore della
Lazio, il brasiliano Lorenzo, don Juan
per i biancocelesti. Ricordi d’infanzia.
Poi ci sono i vent’anni in tribuna Tevere
con il fratello Fabrizio, anima della
sala del ristorante. «Abbiamo seguito
tutta l’era Anzalone fino a Ciarrapico».
Gaetano Anzalone, presidente per otto
anni, nessun trofeo vinto. Compera i
campi di Trigoria e avvia il merchandising
con il lupetto nero. Nella sua Roma
ci sono già Bruno Conti, Pruzzo, Prati.
E Nils Liedholm.
È Dino Viola a costruire la squadra
per lo scudetto del 1983. Lo fa con lo
stesso spirito che sarà di Franco Sensi.
E siamo di nuovo a Totti. A lui è dedicato
il pollo con i peperoni gialli e
rossi, anche se non lo mangia. Gli aliciotti
con l’indivia, invece, sono un
omaggio alla comunità ebraica perché
«sono quasi tutti
romanisti». Mi
vengono in mente i
colori dell’interno
della Sinagoga. Oro
e porpora. Come il
gonfalone della capitale
del regno d’Italia
che demolisce il
ghetto e concede la
costruzione del tempio.
Il Corriere dello Sport titola: La ricetta del Pollo con i peperoni
1 Pollo
50 Gr di guanciale
1 aglio
3 peperoni giallo-rossi
1/2 Kg di pomodori freschi
1 bicchiere di vino bianco
sale q.b.
Tagliare il pollo a pezzi e farlo rosolare
in padella con olio (o strutto),
una fetta di guanciale taliata a striscioline,
1 aglio intero schiacciato e sale
q.b. Quando il tutto avrà preso sapore e
colore, bagnare con un bicchiere di vino
bianco secco (dei Castelli) e far evaporare.
A questo punto aggiungere
2/3 peperoni giallo rossi tagliati e 1/2 kg
di pomodori freschi (il casalino sarebbe
ottimo)
e cuocere dolcemente per mezz’ora.