Lo so una vera blogger non va mai in vacanza dovrebbe scrivere ogni giorno e commentare lo scempio che la realtà le porge su un piatto d'argento. Ho riflettuto molto e non me la sono sentita di tentare delle risposte alla crisi economica; alla faccia di ragazzine sfregiate da un fidanzatino dodicenne; all'assassinio di un bravo ragazzo di Morena e chi più ne ha più ne metta. Così ricomincio dai miei odiati e amati Tacchetti. Ricomincio da una Roma che amo come fosse mia madre e come fosse mia madre arrivo a detestare con tutte le mie forze. "Houston, abbiamo un problema!" la famosa frase lanciata all'Apollo 13 da una centrale preoccupata, suona come un corretto monito nei confronti di una Roma americana che voleva puntare alla Luna ma si è ritrovata a terra, molto a terra, quasi da sprofondare. Per fare l'albero ci vuole il seme, per fare la Roma ci vuole Totti, il Capitano. Pare che il presuntuoso Luis non ne voglia sapere, alla faccia di un Olimpico pieno d'Amore che, lui si, alla fine del 90' minuto di gioco aveva "un cuore che grondava sangue". Nessuno si aspettava il miracolo, il romanista vero sa che i miracoli appartengono ad altre tifoserie e alla campagna pubblicitaria di Sky, ma nessuno si aspettava una squadra così. Tanto da correre alla disperata ricerca di un biglietto, ovunque, purchè alla prima in casa ci sia. Tanti tiri, tutti alla " 'ndo cojo, cojo" e alla "tiro tanto per..". Un gruppo di ragazzini, presumibilmente forti, che mancano di modestia al punto di farsi mandare a quel paese in campo dal veterano della squadra, da quello che in campo ci scende da 20 anni e che ha una fascia al braccio che il giorno che si toglierà mi auguro venga ritirata : perchè Roma ha un Capitano, un solo, unico, Capitano. Non è un modo di dire, non è un richiamo alla poesia di Walt Whitman, no! E' la realtà dei fatti. Capitano dal latino capitanum a sua volta da caput = capo, testa, mente è esattamente quello che Francesco Totti è nella Roma. Ieri sera ogni palla passava dai suoi piedi, con la solita precisione ed eleganza. Accarezzava il tacco e la punta, ballava e volava esattamente nel punto dove lui voleva volasse. Sui piedi di un Caprari egoista, sulla testa scivolosa di Bojan; sul piede di Perrotta che non sbaglia e realizza il Gol. Un esordio peggiore non lo ricordo da anni ma sapevo che sarebbe finita così. "Non abbiamo rispettato nessuna tradizione" rimprovero Mirko che all'ultimo ha trovato due biglietti in CurvaNord, una curva che odio. "Avevo giurato che non ci avrei mai più messo piede, le ultime due volte ho visto la Roma perdere con la Juventus per 1-4". Me lo sentivo che sarebbe finita in disfatta, anche se l'amore, la passione, ti lasciano quella speranza come solo la fede lascia, che qualcosa possa andare nel verso giusto. Siamo ai nostri posti un'ora e mezza prima del fischio d'inizio. Il caldo è una morsa che ti comprime i polmoni togliendoti il fiato. Qualcuno però il fiato ce l'ha, forte e provocatorio. Nello spicchio alla mia destra il settore ospiti è gremito da pochi supporters che hanno imparato due soli cori: "Roma, Roma vaffanculo!" e "Roma merda". Direi che i presupposti per un pacifico confronto come auspicano gli alto parlanti in filo difussione, ci sino proprio tutti. La Roma americana mi sembra una paesanata. Un Presidente dalla faccia paonazza che confuso in una festa di paese non sfigurerebbe al fianco dei paesani comodi sulle sedie di paglia, una bottiglia di rosso in una mano e un mazzo di carte nell'altra. Questa è la nuova Roma: una faccia giuliva che parla straniero e non capisce una sola parola. Così Di Benedetto, così Luis Enrique. Sul campo un misto di età, di lingue, d'idee...il Capitano riesce a tenere il filo. Cassetti e Burdisso si affannano in difesa. Al centrocampo Viviani è l'unico giovane che merita una sufficienza. Roma deve passare il turno perchè è come Golia contro Davide: una partita alla portata. E invece ecco il miracolo (per gli altri tifosi) Davide vince Golia e si qualifica. Grazie agli americani, grazie a Luis Enrique che ha tolto il Capitano per il nuovo talento del calcio mondiale: Stefano Okaka. Mi alzo in piedi decido di voler abbandonare la festa di paese. Voglio andare via come Totti, che ha imboccato lo spogliatoio. Voglio andare a casa a dormire. Voglio tornare in vacanza al mio mare dove potevo tenermi estranea e far finta che le amichevoli d'inizio stagione non contano molto. Invece rimango lì altri venti minuti e mi faccio rabbia e schifo perchè impreco, mi arrabbio e riempirei di schiaffi quel presuntuoso allenatore e quel presidente burino che mi fa diventare burina a mia volta. Prenderei a calcio chi vuole "i romani fuori dalla Roma", chi prende la squadra della mia città e la prende a calci e le strappa il cuore. Siamo fuori dall'Europa e chissà i miei amici di Curva Sud cosa stanno pensando. Mirko non vuole parlare e io meno di lui. Lorenzo ci aspetta fuori dallo stadio e dice che l'allenatore non ha troppe colpe se quelli sono i giocatori che si ritrova. Non sono d'accordo ma questa sera non sono d'accordo con il mondo intero e se il buongiorno si vede dal mattino auguro a tutti una buona notte, che è meglio...
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