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07 luglio 2012

Dentro, di Sandro Bonvissuto: come un pugno o un abbraccio


Il terzo libro delle mie avventure sul Divano è stato Dentro di Sandro Bonvissuto, Einaudi.
Chi mi conosce avrà capito che amo i libri di autori contemporanei per lo più e soprattutto fuori dalla pubblicità dei media. Ci sono fenomeni editoriali che ho sposato e apprezzato ma sempre con notevole ritardo rispetto alla massa. La vera bellezza di un libro è quella di farlo tuo, se leggi una storia che in quel momento leggono tutti, come può avverarsi questo processo? 
Dentro è un libro per pochi eletti oltre ad essere un romanzo di esordio. E' pregno di parole esatte e ben ordinate all'interno di una frase. E' composto da tre racconti: Il giardino delle arance amare; Il mio compagno di banco  e Il giorno in cui mio padre mi ha insegnato ad andare in bicicletta. 
Tre storie ciascuna che a suo modo ti prende allo stomaco per trasmetterti nuove emozioni o per fartene rivivere di vecchie. 
Il motivo che mi ha spinto a scegliere il libro di un autore a me sconosciuto è scritto nel retro della sua copertina: Sandro Bonvissuto ha quarantadue anni, fa il cameriere in un'osteria romana ed è laureato in filosofia. 
Di questo periodo ogni singola parola mi è piaciuta. Sono figlia e nipote di ristoratori e ho lavorato tra i tavoli. So cosa vuol dire essere una cameriera e so cosa vuol dire studiare all'Università. Sandro mi ha colpito al cuore volevo sapere se anche quello che aveva da raccontare era altrettanto forte. Lo è stato. 
Il primo racconto è (tra i tre) il più coinvolgente. Almeno lo è per me. E' una storia nella quale non ho potuto immedesimarmi, ho solo cercato di lasciarmi trasportare da un narratore a dir poco perfetto. Il protagonista non dice il suo nome (non lo diranno neanche quelli dei racconti successivi) e questa mancanza di definizione ti permette di entrare dentro la sua testa come fosse la tua. Insomma se quell'uomo non ha nome posso essere anche io? ti viene da domandarti e sono certa che questa domanda se l'è fatta anche Bonvissuto ed è per questo che ha messo in pratica una scelta stilistica originale quando geniale. 
Il giardino delle arance amare parla di un uomo che finisce in prigione ma a noi lettori non è dato saperne il motivo perché non aggiungerebbe nulla al racconto, anche se averlo saputo avrebbe arginato la mia curiosità non poco. Non è un delinquente è qualcuno che ci è capitato per sbaglio, che mette piede dietro le sbarre per la prima volta. 
Ci racconta così il suo incontro con il carcere, il luogo che l'avrebbe inglobato per una parte della sua vita: Massiccio. Pareva conficcato per terra, come fosse caduto dal cielo. O come fosse sbucato dal suolo faticosamente e non del tutto, gravato da un contenuto pesante.
La sua storia continua con la descrizione della cella, dei suoi compagni di prigione, la vita Dentro quelle mura a cui era concessa solo un'ora di libertà come descrive lui: Uscii, però mi ritrovai sempre dentro. Stavolta in un cortile con delle mura alte. Pareva più una buca. Forse era una vasca. Avevo l'impressione di stare sul fondo di una piscina. Una piscina svuotata. Pensai che da un momento all'altro sarebbe potuta tornare l'acqua.
Il suo è un racconto dotto che spazia dalla solitudine di un detenuto fino al rispetto di cui dovrebbe godere in un Paese democratico. Parla della privacy che in Norvegia è applicata anche dietro le sbarre. Non si limita a filosofeggiare sul detenuto come persona, tentando di spiegare il fenomeno dell'omosessualità ( scrive di due uomini che in una doccia fanno l'amore, non scopano, fanno l'amore) ma svolge un'interessante analisi sociologica spiegando le etnie che compongono il nuovo assetto criminale delle prigioni italiane e racconta la storia di Baba, il suo compagno di cella. 
Baba è forse un assassino per noi ma in Nigeria, dove lui è nato e cresciuto, è un'assassino chi ti ruba una canoa, chi uccide per quella canoa è un povero disperato. 
La penna di Sandro si trasforma ancora una volta in filosofa quando parla della Pena che diventa una cosa sola con il suo detenuto: 
Così lei diventa più importante di te. Ti sovrasta. Ti domina.
Tuttavia la parte più toccante è quando il narratore dimentica di essere un filosofo e si abbandona ai sentimenti, come quando saluta Baba: 
Era l'uomo che mi aveva insegnato a fare la branda, a mangiare cose che avrebbero fatto vomitare un cinghiale. Mi aveva anche insegnato che le medicine fanno tutte schifo, che non bisogna necessariamente parlare per comunicare, che se hai la musica dentro puoi far suonare uno sgabello.
Nel racconto Il mio compagno di banco, l'immedesimazione è più scontata. Chi non ha avuto un primo giorno di scuola e un compagno di banco diventato inseparabile?
In realtà qui lo stile troppo alto cozza con il racconto adolescenziale. A pagina 113 la descrizione di un bellissimo giardino d'infanzia con un teatrino di marionette è una pagina da incorniciare, forse perché descrive un posto che conosco molto bene, forse perché quello si, che sembra strappato da un ricordo di un bambino. E' descritto con gli occhi di un ragazzino di undici anni. Semplice nella sua precisione. Tuttavia è più forte di Sandro, la sua formazione classica, torna prepotente tra le righe. 
Come quando puntualizza: I greci avevano inventato un sacco di cose. Tanti popoli dell'antichità lo avevano fatto, ma i greci, a differenza degli altri, avevano inventato quelle cose destinate a rimanere per sempre insuperate. 
Oppure quando parla della perifrastica attiva in un discorso diretto tra i due ragazzini, cui però aggiunge una giusta ironia adolescenziale: 

-La perifrastica esprime l'imminenza, capito? O l'intenzione. Che stai per fare una qualcosa, tipo, sei lì lì  per farla. 
-Bello. Mi piace. 
-Participio o gerundivo e verbo sum. 
-Quindi ti sto per mandare affanculo è una perifrastica?
-Si. Attiva, penso.

La trilogia si conclude con Il giorno che mio padre mi ha insegnato ad andare in bicicletta si passa dall'adolescenza all'infanzia. 
Si perché questo è un libro che attraversa le stagioni della vita al contrario, parte da quella adulta fino ad arrivare a quella di quando si è bambini. 
(...) un giorno qualunque di una qualunque estate passata resta il miglior contenitore di ricordi che esista
Per chi non è stato così? Un bambino che vuole andare con i suoi amici ma non può perché ancora non sa andare in bicicletta, è ancora troppo piccolo. E quando chiede ai suoi amici chi ha insegnato loro a rimanere in equilibrio sulle due ruote, scopre con sorpresa che nessuno di loro sa insegnarlo ma c'è una sola persona in grado di farlo: un papà. E così descrive l'orgoglio paterno quando lui riesce nell'impresa di andare in bicicletta: 
Quello sguardo che ti avvolge come l'acqua, che si posa anche sulle cose che ti stanno intorno bonificando le zone dai pericoli. Spostando di peso i massi. Come se un Dio personale ti vedesse e ti proteggesse. Un Dio che però esiste. 
Dentro è un libro che s'infila tra lo stomaco e il cuore. Viaggia nei ricordi e nelle emozioni. Come un ricordo di un giorno di estate da bambini...parola di Tacco12.



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