Questa volta ce l'ho fatta. Ieri sera, poco dopo le 19, non appena appresa la notizia della fumata bianca, sono corsa in sella alla mia Vespa verso San Pietro.
Sono corsa io e siamo corsi in tanti. Romani, forestieri e stranieri. Le campane hanno suonato a festa e Roma, la città Eterna, si è riversata tutta dentro un sola, grande piazza.
Che genio il Bernini quando ha realizzato quel colonnato, quelle due braccia pronte ad accogliere il mondo in una piazza rotonda come un mappamondo. Tutte le razze umane erano lì e fianco a fianco potevi trovare anziani, bambini, religiosi e comunisti, santi e peccatori. Di fronte alla Storia che si faceva c'erano proprio tutti. Il Papa a Roma poi è un evento particolare, è quello che ha reso grande (nel bene e nel male) questa città, è quello che l'ha resa Eterna. Nel profondo del cuore, penetrando nel dna, noi romani lo sappiamo bene. E' per quello che ci emozioniamo quando vediamo entrare i cardinali nella Cappella Sistina (che è una meraviglia artistica che il mondo c'invidia) ed è per quello che dopo la fumata bianca abbiamo tutti saputo dove andare.
Nella mia corsa ho incontrato tante persone e, con loro, molte storie. Cameramen e giornalisti, gente comune che raccontava di avere già assistito all'elezione di Benedetto XVI , che ricordava la morte e la fiumana di persone in fila per salutare papa Giovanni Paolo II.
Memorie e ricordi e la Piazza lì, tutta quanta, più bella e suggestiva che mai. Con il buio, le luci, la pioggia lieve che non dava fastidio anzi, sembrava rispettosa anche lei e in attesa. Tanto che quando il protodiacono si è affacciato per l'HABEMUS PAPAM, lei ha cessato di scendere. S'è fermata ad ascoltare.
E tutti a testa in su, mentre il nome di Jorge Mario Bergoglio risonava nelle orecchie dei fedeli ma veniva oscurato dal suo nome di Papa: Francesco. Il nome del Santo Patrono d'Italia, del Capitano della Roma...un nome semplice e bello. Un nome umile. Poco importava di che nazione fosse (anche se gli argentini festeggiavano con grande entusiasmo), poco importava che lingua parlasse. Papa Francesco è una nazione sola, un mondo solo in tanti mondi.
Al mio fianco, fino a qualche minuto prima dell'elezione, era stato Maarten, un giornalista belga (che tiene molto che il suo nome venga scritto correttamente "come il portiere della Roma" mi aveva suggerito).
Simpatico Maarten, con lui avevo chiacchierato piacevolmente in attesa dell'annuncio. Era di fretta e, come ogni giornalista nella giornata più importante della sua carriera, in preda alla sfortuna. Il suo portatile non prendeva e il cellulare si era scaricato. Pezzo da consegnare entro le 21 e la sede della stampa estera troppo lontana. Non c'era tempo, doveva andare.
"Se eleggono Scola dammi una tua battuta" mi aveva chiesto prima di sparire nella folla per poter scrivere la sua di storia. Gli avevo risposto che un Papa italiano mi sarebbe piaciuto molto, perché non ne ho mai conosciuto uno. In parte sento il mio desiderio esaudito.Chissà se l'ha scritto lo stesso...
Un Papa umile, che come prima parola ha usato: "Buona sera" e per continuare ha aspettato il silenzio. Un saluto, una forma di cortesia, un modo per entrare con educazione nei nostri cuori. Noi fedeli, peccatori non siamo abituati a tanto. Si è presentato come una persona che viene da lontano, come un uomo più vicino a noi che un Vescovo di Roma. Si è tolto il mantello, anzi non lo ha proprio indossato e poi ci ha chiesto la nostra benedizione. La Piazza lo ha abbracciato come ha fatto il colonnato. La notte è scesa calma mentre per tutta la Capitale imperversava un solo nome...FRANCESCO.
Nessun commento:
Posta un commento